Per il trattamento della malattia COVID-19, vengono utilizzati farmaci già commercializzati per altre indicazioni e per i quali l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) fornisce informazioni aggiornate su efficacia, sicurezza e interazioni nonché sugli indirizzi terapeutici entro i quali è possibile prevederne un uso sicuro nei pazienti COVID-19.
Le informazioni al momento disponibili riguardano:
tre farmaci immunomodulanti, le cui evidenze disponibili sull’uso in pazienti COVID-19 sono state valutate dalla CTS (Commissione Tecnico Scientifica) di AIFA, nella riunione straordinaria del 23 settembre 2021, e il cui inserimento nell’elenco della L. 648/96 (che consente la copertura a carico del Servizio Sanitario Nazionale) è stato approvato dal CdA di AIFA nella riunione del 28 settembre 2021 e reso efficace il giorno dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale n. 237 del 4 ottobre 2021 delle relative tre determine del 30 settembre 2021:
- anakinra (via sottocutanea) indicato in adulti ospedalizzati con polmonite da COVID-19 moderata/severa e con livelli di suPAR ≥ 6ng/ml
- baricitinib (per os) in adulti ospedalizzati con COVID-19 grave, in ossigenoterapia ad alti flussi o in ventilazione meccanica non invasiva, e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica
- sarilumab (via endovenosa) in adulti ospedalizzati con COVID-19 grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica in alternativa a tocilizumab.
Questi tre farmaci si aggiungono a:
- tocilizumab (via endovenosa) anticorpo usato nel trattamento di soggetti ospedalizzati con COVID-19 con polmonite ingravescente sottoposti a vari livelli di supporto con ossigenoterapia,
- remdesivir (via endovenosa), antivirale rimborsabile per i soggetti con polmonite da COVID-19 in ossigenoterapia che non richiedono ossigeno ad alti flussi o ventilazione meccanica o ECMO e con insorgenza dei sintomi da meno di 10 giorni. Indicato, da fine dicembre 2021, anche negli adulti non ospedalizzati per COVID-19 e non in ossigeno-terapia per COVID-19 con insorgenza di sintomi da non oltre 7 giorni e in presenza di condizioni cliniche predisponenti che rappresentino dei fattori di rischio per lo sviluppo di COVID-19 grave.
Molnupiravir (per os) è un altro antivirale indicato per il trattamento di COVID-19 negli adulti che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che sono a maggior rischio di progressione verso forme severe di COVID-19 (Determina AIFA nella GU n.308 del 29.12.2021).
Anticorpi monoclonali (oltre a tocilizumab)
Gli altri anticorpi monoclonali disponibili in Italia sono:
- tixagevimab/cilgavimab (Evushelld® di AstraZeneca) (via intramuscolare),
- bamlanivimab/etesevimab (di Eli Lilly) (via endovenosa),
- casirivimab/imdevimab (Ronapreve® di Regeneron-Roche) (via endovenosa o sottocutanea),
- regdanvimab (Regkirona® di Celltrion Healthcare Hungary Kft) (via endovenosa),
- sotrovimab (Xevudy® di GlaxoSmithKline) (via endovenosa).
Altre informazioni fornite da AIFA riguardano:
- eparine a basso peso molecolare (EBPM), raccomandate nella profilassi degli eventi trombo-embolici nei pazienti medici con infezione respiratoria acuta allettati o con ridotta mobilità,
- corticosteroidi, standard di cura nei pazienti ricoverati per COVID-19 grave che necessitano di ossigenoterapia supplementare (con o senza ventilazione meccanica),
- azitromicina, non raccomandata, come qualsiasi altro antibiotico, a meno di sospetta sovrapposizione batterica.
Farmaci utilizzabili esclusivamente all’interno di studi clinici
Anakinra
Anakinra (Kineret® 100 mg/0,67 ml soluzione iniettabile in siringa preriempita) è un antagonista umano del recettore dell’IL-1 (r-metHuIL-1ra). È prodotto in cellule di Escherichia coli mediante tecnologia del DNA ricombinante.
Meccanismo d'azione di anakinra e razionale d'uso per COVID-19
Mediante l’inibizione competitiva del legame dell’IL-1α e dell’IL-1β ai recettori di tipo I dell’IL-1R1, anakinra ne neutralizza l’attività biologica.
Poiché blocca il recettore fisiologico e antagonizza lo stato di infiammazione sistemica generato dalla produzione anomala di IL-1, l’utilizzo di questo medicinale nei pazienti complessi con infezione da SARS-CoV-2 si basa proprio sull’azione inibitoria della stimolazione pro-infiammatoria da parte dell’IL-1. Infatti, SARS-CoV-2 induce una risposta immunitaria dell’ospite eccessiva e aberrante. Questa è associata a sindrome da distress respiratorio acuto nonché, nella maggior parte dei pazienti critici, a tempesta citochinica (aumento dei livelli plasmatici e tissutali di varie citochine che provocano danni a lungo termine e fibrosi del tessuto polmonare).
Farmaci in grado di inibire l’attività di citochine coinvolte nella genesi della cascata infiammatoria (come IL-1) possono avere un importante ruolo terapeutico nel ritardare il danno polmonare nei pazienti con infezione da SARS-CoV2.
Altre evidenze a supporto dell’uso di anakinra per COVID-19
A supporto dell’utilizzo di anakinra c’è anche l’evidenza in letteratura che questo trattamento possa ridurre mortalità e/o necessità di ventilazione meccanica invasiva (Aouba et al., 2020; Dimopoulos et al., 2020; Filocamo et al., 2020; Franzetti et al., 2020; González-García et al., 2020; Huet et al., 2020; Navarro-Millán et al., 2020; Pontali et al., 2020).
Inoltre, la somministrazione di anakinra per via endovenosa ad alte dosi è già stata utilizzata off label per il trattamento della sindrome da attivazione dei macrofagi e dello shock settico. Tali condizioni condividono alcune caratteristiche cliniche e molecolari con l’iperinfiammazione da COVID-19 (Grom et al., 2016; Shakoory et al., 2016).
Indicazioni di anakinra per COVID-19
Il 23/09/2021, la CTS ritiene che l’utilizzo di anakinra possa essere consentito limitatamente al trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con polmonite da COVID-19 moderata/severa (con pO2/FiO2>150, e non sottoposti a CPAP o ventilazione meccanica) e con livelli di plasma Soluble Urokinase-Type Plasminogen Activator Receptor (suPAR) ≥ 6ng/ml.
Non è consentita la co-somministrazione con altri inibitori delle interleuchine o con JAK-inibitori.
Altre indicazioni di anakinra
Artrite reumatoide (AR) negli adulti per il trattamento dei segni e dei sintomi dell’AR in associazione con metotrexato con risposta inadeguata al solo metotrexato.
Sindromi febbrili periodiche autoinfiammatorie associate alla criopirina (CAPS) e febbre mediterranea familiare (FMF) negli adulti, negli adolescenti, nei bambini e nei lattanti di età ≥ 8 mesi con un peso corporeo ≥ 10 kg. Nella FMF, se appropriato, Kineret deve essere somministrato in associazione con colchicina.
Malattia di Still con caratteristiche sistemiche attive e attività di malattia da moderata a elevata, o con attività di malattia persistente dopo trattamento con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) o glucocorticoidi negli adulti, negli adolescenti, nei bambini e nei lattanti di età 8 mesi o superiore con un peso corporeo di 10 kg o superiore.
Kineret può essere somministrato in monoterapia o in associazione con altri farmaci antinfiammatori e farmaci antireumatici modificanti la malattia (disease-modifying antirheumatic drugs, DMARD).
Dosaggio consigliato e via di somministrazione di anakinra
A seconda delle differenti indicazioni anakinra può essere utilizzato in vari dosaggi, ma l’utilizzo prevalente è quello di 100 mg/die utilizzato per l’AR, mentre l’unica modalità di somministrazione autorizzata in RCP è quella per iniezione sottocutanea.
Il dosaggio raccomandato di anakinra nei pazienti COVID-19 adulti è pari a 100 mg somministrati una volta al giorno per 10 giorni tramite iniezione sottocutanea.
Avvertenze e principali interazioni di anakinra (da scheda tecnica)
- Neutropenia e infezioni gravi
- Eventi epatici
Altre informazioni sulla sicurezza in scheda tecnica di anakinra.
Non è raccomandato il trattamento concomitante di anakinra e antagonisti del TNF-alfa.
La formazione di enzimi CYP450 viene soppressa da livelli aumentati di citochine (es. IL-1) durante l’infiammazione cronica. Perciò è possibile prevedere che la formazione di enzimi CYP450 sia normalizzata durante il trattamento con antagonisti del recettore dell’IL-1, come anakinra. Questo evento sarebbe clinicamente significativo per i substrati del CYP450 con un ristretto indice terapeutico (ad es. warfarin e fenitoina). Dopo l’inizio o la fine del trattamento con Kineret nei pazienti che assumono questi tipi di medicinali, si può considerare il monitoraggio terapeutico dell’effetto o della concentrazione di questi prodotti e può essere necessario aggiustare la dose individuale del medicinale.
Altre informazioni sulle interazioni farmacologiche in scheda tecnica e sul sito COVID-19 drug interactions.
Baricitinib
Baricitinib (Olumiant®) è un inibitore selettivo e reversibile di Janus chinasi JAK1 e JAK2.
Meccanismo d'azione di baricitinib e razionale d'uso per COVID-19
JAK1 e JAK2 sono due enzimi intracellulari coinvolti nella trasmissione del segnale di citochine e fattori di crescita, implicati nell’ematopoiesi e nella risposta immunitaria.
Il razionale d’utilizzo di baricitinib nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 si basa sulla duplice azione di riduzione della risposta infiammatoria e di riduzione dell’endocitosi virale.
Baricitinib è stato il primo medicinale identificato mediante l’uso di intelligenza artificiale quale molecola potenzialmente utile nei pazienti con COVID-19, per la duplice attività di mitigazione della cascata infiammatoria e di riduzione dell’ingresso del virus nelle cellule polmonari (Richardson P et al. Lancet 2020).
Il recettore utilizzato dal virus SARS-CoV2 per infettare le cellule polmonari è il recettore ACE2. Questa proteina di superficie è esposta su cellule renali, ematiche, cardiache nonché sulle cellule epiteliali alveolari. Uno dei noti regolatori dell’endocitosi è la protein-kinasi 1 associata ad AP2 (AAK1), verso la quale baricitinb ha un’elevata affinità.
Indicazione di baricitinib per COVID-19
Alla luce delle attuali conoscenze, nonché della potenziale carenza delle alternative già disponibili in L. 648/96 per la medesima indicazione, secondo la CTS baricitinib può essere usato per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con COVID-19 grave, in ossigenoterapia ad alti flussi o in ventilazione meccanica non invasiva, e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica.
In particolare, AIFA considera candidabili al trattamento con baricitinib i pazienti ospedalizzati con condizioni cliniche rapidamente ingravescenti:
• Pazienti recentemente ospedalizzati con fabbisogno di ossigeno in rapido aumento che richiedono ventilazione meccanica non invasiva o ossigeno ad alti flussi in presenza di elevati livelli di indici di flogosi (CRP≥75 mg/l).
Non è consentita la co-somministrazione con inibitori delle interleuchine o con altri JAK-inibitori.
Altre indicazioni di baricitinib
Baricitinib è autorizzato da EMA per le seguenti condizioni cliniche:
- trattamento dell’artrite reumatoide in fase attiva da moderata a severa nei pazienti adulti che hanno avuto una risposta inadeguata, o che sono intolleranti, ad uno o più farmaci anti-reumatici modificanti la malattia. Olumiant può essere somministrato in monoterapia o in associazione con metotrexato;
- trattamento della dermatite atopica da moderata a severa in pazienti adulti che sono candidati ad una terapia sistemica (questa indicazione non è al momento rimborsata in Italia).
Dosaggio raccomandato e via di somministrazione di baricitinib
- 4 mg somministrati per os una volta al giorno per una durata massima di 14 giorni (o fino a dimissione dall’ospedale per risoluzione clinica, se antecedente) nei pazienti adulti.
- 2 mg PO QD se eGFR 30-<60 ml/min/1,73m2
- non somministrare se eGFR <30 ml/min/1,73m2.
Avvertenze e principali interazioni di baricitinib (da scheda tecnica)
- Neutropenia e infezioni gravi
- Eventi epatici
- Diverticolite e di perforazione gastrointestinale
- Tromboembolismo venoso
Altre informazioni sulla sicurezza in scheda tecnica di baricitinib.
Non è raccomandato il trattamento concomitante di baricitinib con:
- DMARD biologici,
- biologici immunomodulanti
- altri inibitori delle Janus chinasi (JAK)
- antagonisti del TNF-alfa.
Altre informazioni sulle interazioni farmacologiche in scheda tecnica e sul sito COVID-19 drug interactions.
Articoli su baricitinib per COVID-19
Sarilumab
Sarilumab (Kevzara®) è un anticorpo monoclonale umano (sottotipo IgG1) che si lega specificamente ai recettori dell’IL-6 (IL-6Rα) sia solubili sia legati alla membrana e inibisce i segnali da essi mediati.
Meccanismo d'azione di sarilumab e razionale d'uso per COVID-19
Inibisce la segnalazione mediata dall’IL-6 che coinvolge la glicoproteina 130 (gp130), proteina ubiquitaria trasduttrice del segnale, e il trasduttore del segnale e attivatore della trascrizione 3 (STAT-3). L’IL-6 è una citochina pleiotropica che stimola proliferazione, differenziazione, sopravvivenza e apoptosi cellulari. Inoltre, IL-6 può attivare gli epatociti per rilasciare proteine di fase acuta, quali la proteina C-reattiva (CRP) e la proteina amiloide sierica A.
Nei test funzionali su cellule umane, sarilumab è stato in grado di bloccare la cascata del segnale dell’IL-6, misurato in termini di inibizione dello STAT-3, soltanto in presenza di IL-6.
L’attività di sarilumab nel ridurre l’infiammazione è associata ad alterazioni di laboratorio quali la diminuzione dell’ANC e l’aumento dei lipidi.
Il razionale di utilizzo di sarilumab nei pazienti complessi con infezione da SARS-CoV-2 si basa proprio sulla capacità di bloccare il recettore dell’IL-6 (IL-6R), impedendo così gli effetti dell’attivazione della cascata proinfiammatoria.
IL-6 e COVID-19
IL-6 rappresenta un target di una potenziale strategia terapeutica nel trattamento dei casi gravi e critici di pazienti affetti da COVID-19. Infatti, l’infezione da SARS-CoV-2 induce una risposta immunitaria dell’ospite eccessiva e aberrante. Questa si può associare a sindrome da distress respiratorio acuto. Inoltre, nella maggior parte dei pazienti critici, si verifica una “tempesta di citochine”, cioè aumento dei livelli plasmatici e tissutali di diverse citochine con danno a lungo termine e fibrosi del tessuto polmonare.
Numerosi studi evidenziano correlazione tra livelli di IL-6 e più rapida progressione di COVID-19 (Mojtabavi H et al. 2020). Terapie che hanno come bersaglio le citochine come IL-6, coinvolte nella risposta infiammatoria all’infezione da SARS-CoV2 possono avere un importante ruolo terapeutico nel ritardare il danno polmonare nei pazienti COVID-19 (Angriman F et al. 2021; Potere N et al. 2021).
Indicazioni di sarilumab per COVID-19
Alla luce delle attuali conoscenze la CTS ritiene che sarilumab possa essere utilizzato in alternativa a tocilizumab quando quest’ultimo non fosse disponibile, per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con COVID-19 grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica.
In particolare, AIFA considera candidabili al trattamento con sarilumab i pazienti ospedalizzati con condizioni cliniche rapidamente ingravescenti:
- Pazienti recentemente ospedalizzati ricoverati in terapia intensiva da meno di 24/48 ore che ricevono ventilazione meccanica o ossigeno ad alti flussi;
oppure
pazienti recentemente ospedalizzati con fabbisogno di ossigeno in rapido aumento che richiedono ventilazione meccanica non invasiva o ossigeno ad alti flussi in presenza di elevati livelli di indici di flogosi (CRP≥75 mg/l). - Soggetti ospedalizzati in rapida progressione clinica dopo 24/48 ore di utilizzo di desametasone o altri cortisonici. Per rapida progressione clinica si intende fabbisogno di ossigeno in rapido aumento, pur senza necessità di ventilazione non invasiva o ossigeno ad alti flussi, e con elevati livelli di indici di flogosi (CRP≥75 mg/l).
Non è consentita la co-somministrazione con altri inibitori delle interleuchine o con JAK-inibitori.
Altre indicazioni di sarilumab
EMA ha autorizzato sarilumab in combinazione con metotrexato (MTX) per il trattamento dell’artrite reumatoide (AR) attiva da moderata a severa in pazienti adulti che hanno risposto in modo inadeguato o sono risultati intolleranti a uno o più farmaci antireumatici
modificanti la malattia (DMARDs). Kevzara può essere somministrato in monoterapia in caso di intolleranza al MTX o quando il trattamento con MTX non è appropriato.
Dosaggio raccomandato e via di somministrazione di sarilumab per COVID-19
400 mg da somministrare mediante infusione endovenosa della durata di almeno 60 minuti nei pazienti COVID-19 adulti.
Sarilumab è disponibile come siringa preriempita. Per una dose da 400 mg, due siringhe preriempite da 200 mg devono essere iniettate in una sacca per infusione da 100 ml di cloruro di sodio 0,9% (capovolgere la sacca almeno 10 volte per garantire un’accurata miscelazione).
Avvertenze e principali interazioni di sarilumab (da scheda tecnica)
- Infezioni attive in atto (diverse da COVID-19) che potrebbero peggiorare con l’utilizzo di sarilumab
- Tubercolosi latente o attiva
- Neutropenia (neutrofili <2 x 109/l) e piastrinopenia (piastrine <150 x 103/µl)
- Storia di ulcerazione intestinale o diverticolite
- Epatopatia attiva e compromissione epatica.
Approfondimento delle avvertenze e informazioni sulla sicurezza in scheda tecnica di sarilumab.
Il blocco della segnalazione dell’IL-6 da parte di antagonisti del recettore α dell’interleuchina 6 (IL6Rα) come sarilumab può invertire l’effetto inibitorio dell’IL-6 e ripristinare l’attività del CYP, portando a concentrazioni alterate dei medicinali.
La modulazione dell’effetto dell’IL-6 sugli enzimi CYP da parte di sarilumab può essere clinicamente rilevante per i substrati del CYP con uno stretto indice terapeutico, nei quali la dose viene regolata individualmente. Al momento dell’avvio o dell’interruzione della terapia con Kevzara in pazienti trattati con prodotti medicinali che siano substrato del CYP, è necessario effettuare un monitoraggio terapeutico dell’effetto (es. warfarin) o della concentrazione del farmaco (es. teofillina) e la dose individuale del prodotto medicinale deve essere regolata secondo necessità.
Va esercitata cautela nei pazienti che iniziano il trattamento con Kevzara mentre è in corso la terapia con substrati del CYP3A4 (es. contraccettivi orali o statine), dato che Kevzara può invertire l’effetto inibitorio dell’IL-6 e ripristinare l’attività del CYP3A4, portando a una riduzione dell’esposizione al farmaco e dell’attività del farmaco substrato del CYP3A4.
Altre informazioni sulle interazioni farmacologiche in scheda tecnica e sul sito COVID-19 drug interactions.
Articoli su sarilumab per COVID-19
Remdesivir
Remdesivir (o GS-5734, nome commerciale Veklury®, 100 mg concentrato per soluzione per infusione) è un farmaco antivirale inibitore della RNA polimerasi virale RNA-dipendente; più precisamente si tratta di un profarmaco monofosforamidato, analogo nuceotidico dell’adenosina. Viene metabolizzato nelle cellule dove si forma il metabolita trifosfato nucleosidico che è la molecola farmacologicamente attiva.
Storia delle autorizzazioni di remdesivir
Remdesivir è il primo farmaco antivirale autorizzato dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), tramite procedura “subordinata a condizioni”, con indicazione specifica per il “trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) negli adulti e negli adolescenti (di età pari o superiore a 12 anni e peso pari ad almeno 40 kg) con polmonite che richiede ossigenoterapia supplementare“.
Il medicinale è stato reso disponibile dalla Commissione europea mediante una procedura di Joint Procurement. In Italia è sottoposto a registro di monitoraggio AIFA.
AIFA ha concesso la rimborsabilità di remdesivir esclusivamente per soggetti con polmonite da COVID-19 in ossigenoterapia che:
- non richiedono ossigeno ad alti flussi o ventilazione meccanica o ECMO e
- hanno avuto insorgenza dei sintomi da meno di 10 giorni.
I dati complessivamente disponibili al momento su remdesivir non sono concordi e non dimostrano benefici clinici chiari in termini di mortalità o di ricorso alla ventilazione meccanica.
Perciò l’uso di remdesivir nella popolazione ammessa alla rimborsabilità può essere considerato soltanto in casi selezionati, dopo valutazione accurata del rapporto benefici/rischi.
In ottemperanza a quanto riportato nella scheda tecnica, remdesivir non è raccomandato in pazienti con funzionalità renale fortemente compromessa (EGFR < 30 ml/min) e non va usato in pazienti con livelli di ALT > 5 volte il limite superiore della norma al basale.
Aggiornamento del 30 dicembre 2021
Il 22 dicembre 2021, la CTS di AIFA ha autorizzato un’estensione di indicazione di remdesivir in soggetti non in ossigeno-terapia ad alto rischio di COVID-19 grave. Anche per questa nuova indicazione è previsto l’utilizzo di un Registro di monitoraggio, accessibile sul sito AIFA dal 30 dicembre 2021.
Remdesivir va utilizzato per 3 giorni e la sua somministrazione può essere iniziata fino a 7 giorni dall’insorgenza dei sintomi.
Indicazioni di remdesivir
Trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) in:
• adulti e adolescenti (di età compresa tra 12 e meno di 18 anni che pesano almeno 40 kg) con polmonite che richiedono ossigenoterapia supplementare (ossigeno a basso o alto flusso o altro tipo di ventilazione non invasiva all’inizio del trattamento
• adulti che non richiedono ossigenoterapia supplementare e presentano un aumento del rischio di progressione a COVID-19 severa.
Meccanismo d'azione di remdesivir trifosfato, il metabolita attivo di remdesivir
Remdesivir è un profarmaco monofosforamidato analogo nuceotidico dell’adenosina. Nelle cellule è metabolizzato alla forma trifosfato nucleosidico farmacologicamente attivo.
Il metabolita (remdesivir trifosfato) agisce come un analogo dell’adenosina trifosfato (ATP). Quindi compete con il substrato naturale dell’ATP per l’incorporazione nelle catene di RNA nascente da parte della RNA-polimerasi RNA-dipendente del SARS-CoV-2. In questo modo determina la terminazione della catena ritardata durante la replicazione dell’RNA virale.
Questo inibitore della RNA-polimerasi ha mostrato un’attività in vitro contro un isolato clinico del SARS-COV-2 nelle cellule primarie dell’epitelio respiratorio umano.
Inoltre, il metabolita trifosfato nucleosidico farmacologicamente attivo può inibire la sintesi dell’RNA virale a seguito della sua incorporazione nell’RNA virale stampo in conseguenza alla lettura da parte della polimerasi virale che si può verificare in caso di concentrazioni più elevate di nucleotidi. In presenza del nucleotide di remdesivir nell’RNA virale stampo, infatti, l’efficienza dell’incorporazione del nucleotide naturale complementare è compromessa.
Attività antivirale di remdesivir contro SARS-CoV-2
Remdesivir ha mostrato attività in vitro contro un isolato clinico di SARS-CoV-2 nelle cellule primarie dell’epitelio respiratorio umano con una concentrazione efficace al 50% (EC50) di 9,9 nM dopo 48 h di trattamento. Inoltre ha inibito la replicazione del SARS-CoV-2 in linee cellulari continue dell’epitelio polmonare umano Calu-3 e A549-hACE2 con EC50 di 280 nM dopo 72 h di trattamento e di 115 nM dopo 48 h. L’EC50 di remdesivir rispetto al SARS-CoV-2 nelle cellule Vero dopo il trattamento è stata di 137 nM a 24 h e 750 nM a 48.
Quando remdesivir è sono stato co-incubato con clorochina fosfato a concentrazioni clinicamente rilevanti in cellule HEp-2 infette da virus respiratorio sinciziale (RSV), la sua attività antivirale è stata antagonizzata dalla clorochina fosfato in modo dose-dipendente. Con l’aumento della concentrazione di clorochina fosfato i valori di EC50 di remdesivir sono stati maggiori. L’aumento della concentrazione di clorochina fosfato ha ridotto la formazione di remdesivir trifosfato nelle cellule A549-hACE2, HEp-2 e in quelle epiteliali bronchiali umane normali.
Sulla base di test in vitro, remdesivir ha mantenuto attività antivirale simile (variazione ≤1,5 volte) contro gli isolati clinici delle varianti del SARS-CoV-2 con sostituzione di P323L nella polimerasi virale, incluse le varianti Alfa (B.1.1.7), Beta (B.1.351), Gamma (P.1) e Delta (B.1.617.2), rispetto al ceppo precedente del SARS-CoV-2 (ceppo A).
Dosaggio raccomandato e via di somministrazione di remdesivir per COVID-19
- Giorno 1: singola dose di carico di remdesivir 200 mg
- dal 2° giorno in poi: 100 mg una volta al giorno per 5 o 10 giorni.
La differenza tra l’efficacia del trattamento a 5 e a 10 giorni negli studi condotti finora è risultata minima nei pazienti con malattia moderata e severa.
Via di somministrazione: infusione endovenosa.
Durata del trattamento nei soggetti non ospedalizzati per COVID-19
Il trattamento deve essere iniziato il prima possibile dopo la diagnosi di COVID-19 ed entro 7 giorni dalla comparsa dei sintomi.
La durata totale del trattamento deve essere di 3 giorni.
I pazienti devono essere monitorati durante il trattamento con remdesivir. La somministrazione del farmaco in ambiente ambulatoriale deve essere monitorata. L’utilizzo deve avvenire in condizioni in cui è possibile trattare le reazioni di ipersensibilità severe, inclusa l’anafilassi.
Durata del trattamento nei soggetti ospedalizzati per COVID-19
La durata totale del trattamento deve essere di almeno 5 giorni e non deve
eccedere i 10 giorni.
Gli studi finora condotti non hanno evidenziato una differenza in termini di
efficacia tra il trattamento a 5 giorni ed il trattamento a 10, sia nei pazienti con
malattia moderata sia nella coorte di malattia severa.
Per situazioni particolari si rimanda alla scheda tecnica di Veklury.
Avvertenze e principali interazioni di remdesivir (da scheda tecnica)
- Aumento delle transaminasi
- Compromissione renale
Per altre informazioni sulla sicurezza si vedano la scheda tecnica di remdesivir e gli studi pubblicati.
Non sono ancora stati effettuati studi d’interazione su remdesivir, quindi non si conosce il potenziale d’interazione complessivo.
Non si raccomanda l’uso concomitante di remdesivir con:
- clorochina fosfato o idrossiclorochina solfato (il cui uso è peraltro consentito soltanto nell’ambito di trial clinici) per l’antagonismo mostrato in vitro;
- forti induttori enzimatici del CYP450 (per esempio rifampicina) perché possono ridurre le concentrazioni plasmatiche di remdesivir.
Modalità di prescrizione di remdesivir
Veklury è un farmaco ospedaliero che può essere prescritto dallo specialista infettivologo, pneumologo o da altro clinico operante nei centri indicati dalle Regioni per la gestione di COVID-19.
Corticosteroidi
I corticosteroidi sono molecole di sintesi che imitano l’azione del cortisolo (ormone secreto dalle ghiandole surrenali); hanno proprietà antinfiammatorie e partecipano alla regolazione dell’attività metabolica e immunitaria. Il loro uso nella pratica clinica è consolidato in caso di infiammazione, nelle reazioni allergiche e nelle malattie autoimmuni. Nelle infezioni, l’utilità del loro utilizzo è controversa.
Per il loro effetto antinfiammatorio, i corticosteroidi sono stati usati da soli o associati ad antibiotici o ad altri trattamenti in patologie correlate a COVID-19, come SARS, MERS, influenza grave, polmonite, sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) o sindrome da rilascio di citochine (CRS).
Tuttavia, anche l’utilità del loro uso in queste condizioni è controversa per:
- mancanza di studi controllati randomizzati sufficientemente potenti,
- eterogeneità delle popolazioni studiate,
- tempistiche del trattamento,
- modalità di registrazione dei dati riguardanti dosaggi, gravità e stadio della malattia ed effetti collaterali.
AIFA raccomanda l’uso dei corticosteroidi nei soggetti ricoverati con COVID-19 grave in supplementazione di ossigeno, con e senza ventilazione meccanica (invasiva o non invasiva).
In questa popolazione, l’uso di corticosteroidi è l’unico trattamento che finora dimostra benefici in termini di riduzione della mortalità, va quindi considerato standard di cura.
Desametasone ha assicurato i risultati più significativi, ma anche altri corticosteroidi (metilprednisolone, prednisone, idrocortisone) hanno dato evidenti benefici clinici, suggerendo un effetto complessivo di classe.
Dosaggio raccomandato di corticosteroidi per COVID-19
Il CHMP raccomanda l’assunzione di 6 mg una volta al giorno per un massimo di 10 giorni negli adulti e negli adolescenti, per via orale, iniezione o infusione in vena.
Modalità di prescrizione
I corticosteroidi non sono soggetti a limitazioni della prescrizione negli usi autorizzati.
Eparine a basso peso molecolare (EBPM)
Le eparine a basso peso molecolare (EBPM) sono glicosamminoglicani ottenuti per frazionamento dell’eparina; esiste in commercio anche un’eparina di sintesi: fondaparinux. Possono essere usate, ad esempio nella:
- profilassi del tromboembolismo venoso post chirurgico,
- profilassi del tromboembolismo venoso in pazienti non chirurgici affetti da una patologia acuta (come ad esempio insufficienza cardiaca acuta, insufficienza respiratoria, infezioni gravi o malattie reumatiche) e mobilità ridotta con aumentato rischio di tromboembolismo venoso,
- terapia della trombosi venosa profonda, dell’embolia polmonare e della sindrome coronarica acuta.
Nella gestione del paziente COVID-19, AIFA definisce raccomandabile l’uso delle eparine a basso peso molecolare:
- a dosaggio profilattico secondo le indicazioni registrate: per prevenire eventi tromboembolici nei pazienti con infezione respiratoria acuta in fase iniziale allettati o con ridotta mobilità, ricoverati o meno;
- a dosi terapeutiche secondo le indicazioni registrate: per trattare fenomeni trombotici o trombo embolici del sistema venoso o arterioso nei pazienti ricoverati con COVID-19 grave, classificabili nella fase IIB dell’evoluzione clinica della malattia;
- nelle fasi più avanzate della malattia (III) può essere valutato il rapporto benefici/rischi nei singoli pazienti dell’uso di dosi più elevate di EBPM per contenere gli effetti sulla coagulazione della tempesta citochinica.
Dosaggio
Ad oggi non sono stati definiti i dosaggi di EBPM ottimali in questa fase di malattia né le specifiche indicazioni né le modalità e i tempi di somministrazione. Esistono numerosi studi osservazionali che, nonostante mostrino possibili bias di confondimento rispetto alle caratteristiche basali e alle terapie concomitanti e siano condotti su casistiche non esattamente sovrapponibili, mostrano che l’uso di EBPM in pazienti gravi ha dato un vantaggio in termini di mortalità, ma che la scelta della dose vada definita caso per caso.
Modalità di prescrizione
Le EBPM non sono soggette a limitazioni della prescrizione negli usi autorizzati. Quindi possono essere prescritte a carico del SSN dal MMG o da qualsiasi specialista del SSN. Sono distribuite sul territorio secondo le modalità stabilite a livello regionale.
Articoli su eparine e terapia anticoagulante nei pazienti COVID-19
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Confronto tra dosi terapeutiche e profilattiche di eparine in pazienti COVID-19
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Tocilizumab
Tocilizumab (TCZ) è un anticorpo monoclonale umanizzato in grado di legarsi in modo specifico ai recettori dell’IL-6 sia solubili (sIL-6R) sia di membrana (mIL-6R), dimostrando di inibire i segnali da essi mediati.
Appartiene alla categoria farmacoterapeutica degli immunosoppressori, inibitori di interleuchine.
Meccanismo d'azione e razionale d'uso di tocilizumab per COVID-19
Il razionale di utilizzo di TCZ in pazienti complessi con infezione da SARS-CoV-2 si basa sulla capacità di bloccare il recettore dell’IL-6 (IL-6R), impedendo gli effetti dell’attivazione della cascata proinfiammatoria. IL-6 è una citochina proinfiammatoria pleiotropica prodotta da diverse tipologie cellulari, tra cui cellule T e B, monociti e fibroblasti. IL-6 rappresenta il target di una potenziale strategia terapeutica nel trattamento dei casi gravi e critici di pazienti affetti da COVID-19. È stata infatti evidenziata una correlazione tra i livelli di IL-6 e una più veloce progressione della malattia da SARS-CoV-2 (Mojtabavi H et al. 2020).
È stato ipotizzato che terapie aventi come bersaglio le citochine coinvolte nella risposta immunitaria eccessiva e aberrante indotta dall’infezione da SARS-CoV-2 e conseguente risposta infiammatoria, come IL-6, possano avere un importante ruolo terapeutico nel ritardare il danno polmonare nei pazienti affetti da infezione da COVID-19.
AIFA, nell’ambito della rivalutazione continua sui farmaci utilizzabili per il COVID-19, ha deciso l’inserimento del medicinale tocilizumab (TCZ) nell’elenco dei farmaci di cui alla L. 648/96 per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con COVID-19 grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica, in condizioni cliniche rapidamente ingravescenti.
Altre indicazioni di tocilizumab
- artrite reumatoide (AR) grave, attiva e progressiva negli adulti non precedentemente trattati con metotrexato (MTX);
- AR da moderata a grave in pazienti adulti che non abbiano risposto adeguatamente o siano intolleranti a precedente terapia con uno o più Farmaci Antireumatici Modificanti la Malattia (Disease Modifying Antirheumatic Drugs, DMARDS) o anti-TNF;
- artrite idiopatica giovanile sistemica (AIGs) attiva in pazienti con età ≥ 2 anni che non abbiano risposto adeguatamente o siano intolleranti a precedenti terapie con FANS o corticosteroidi sistemici;
- poliartrite idiopatica giovanile (AIGp; fattore reumatoide positivo o negativo e oligoartrite estesa), in combinazione con MTX, in pazienti di età ≥ 2 anni che non abbiano risposto adeguatamente a precedente terapia con MTX;
- sindrome da rilascio di citochine (cytokine release syndrome, CRS) indotta da linfociti CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T-Cell Therapies) severa o potenzialmente letale negli adulti e nei pazienti pediatrici di età ≥ 2 anni.
Rimborsabilità di tocilizumab nel trattamento di COVID-19
Tocilizumab può essere rimborsato dal SSN per il trattamento di soggetti adulti ospedalizzati con COVID-19 grave e/o con livelli elevati degli indici di infiammazione sistemica.
In particolare, si considerano candidabili al trattamento con tocilizumab i pazienti ospedalizzati con condizioni cliniche rapidamente ingravescenti:
- Pazienti recentemente ospedalizzati ricoverati in terapia intensiva da meno di 24/48 ore che ricevono ventilazione meccanica o ossigeno ad alti flussi; oppure pazienti recentemente ospedalizzati con fabbisogno di ossigeno in rapido aumento che richiedono ventilazione meccanica non invasiva o ossigeno ad alti flussi in presenza di elevati livelli di indici di flogosi (CRP≥75 mg/l)
- Soggetti ospedalizzati in rapida progressione clinica dopo 24/48 ore di utilizzo di desametasone, o altri cortisonici. Per rapida progressione clinica si intende fabbisogno di ossigeno in rapido aumento, pur senza necessità di ventilazione non invasiva o ossigeno ad alti flussi, e con elevati livelli di indici di flogosi (CRP≥75 mg/l).
Il dosaggio raccomandato di tocilizumab nei pazienti adulti è di 8 mg/kg, da somministrare mediante infusione endovenosa della durata di 60 minuti.
In assenza di miglioramento clinico dei segni e dei sintomi dopo la prima dose, può essere somministrata una seconda dose ad un intervallo minimo di almeno 8 ore.
Non sono consigliate dosi superiori a 800 mg per infusione.
Avvertenze e interazione con altri farmaci
La scheda tecnica di tocilizumab riporta avvertenze speciali e precauzioni di impiego in particolare per:
- infezioni attive in atto (diverse da COVID-19) che potrebbero peggiorare con l’utilizzo di tocilizumab,
- storia di ulcerazione intestinale o diverticolite,
- epatopatia attiva e compromissione epatica.
Quando si inizia o si interrompe la terapia con tocilizumab, i pazienti in trattamento con medicinali il cui dosaggio deve essere aggiustato su base individuale e che sono metabolizzati mediante CYP450 3A4, 1A2 o 2C9 (quali metilprednisolone, desametasone, (con la possibilità della sindrome da sospensione del glucocorticoide orale), atorvastatina, bloccanti dei canali del calcio, teofillina, warfarin, fenprocumone, fenitoina, ciclosporina o benzodiazepine) devono essere monitorati, poiché potrebbe essere necessario un incremento della loro dose per mantenere l’effetto terapeutico. In considerazione della sua lunga emivita (t1/2) di eliminazione, l’effetto di tocilizumab sull’attività dell’enzima CYP450 può persistere per diverse settimane dopo l’interruzione della terapia.
Modalità di prescrizione di tocilizumab
Tocilizumab (RoActemra®) è un farmaco ospedaliero con prescrizione limitativa. Per l’indicazione ammessa alla rimborsabilità in L648/96 la prescrizione è limitata ai clinici operanti nei centri indicati dalla Regione per la gestione del COVID-19.
Altri anticorpi monoclonali
La Commissione europea ha autorizzato i medicinali contenenti anticorpi monoclonali contro la proteina spike del virus SARS-CoV-2:
- associazione casirivimab/imdevimab (Ronapreve® di Regeneron/Roche) per il trattamento e la prevenzione di COVID-19;
- regdanvimab (Regkirona® di Celltrion Healthcare Hungary Kft) per il trattamento di COVID-19. Nel Report n. 43 del Monitoraggio Anticorpi Monoclonali per Covid-19
con i dati relativi alla settimana 20 – 26 gennaio 2022 (estrazione dati 27 gennaio 2022), regdanvimab non compare; - sotrovimab (Xevudy® di GSK) per il trattamento di COVID-19.
Recepimento delle autorizzazioni europee di casirivimab/imdevimab, regdanvimab e sotrovimab
L’Italia ha recepito le autorizzazioni europee per:
Queste determine pongono i medicinali ai fini del rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale in classe C non negoziata [C(nn)]. Inoltre, attribuiscono il regime di fornitura: “medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, da rinnovare volta per volta, vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri individuati dalle regioni (RNRL)”.
Rispetto all’uso in via temporanea precedentemente autorizzato dall’Italia, sono stati modificati dosaggio e modalità di somministrazione di casirivimab/imdevimab.
Con la Determina n. 1414 del 25 novembre 2021, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 282 del 26 novembre 2021, casirivimab/imdevimab è stato poi inserito nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale ai sensi della L. 648/96.
Autorizzazione italiana di tixagevimab/cilgavimab
L’associazione di anticorpi monoclonali tixagevimab/cilgavimab (AZD7442 o Evusheld® di AstraZeneca) ha ricevuto, ai sensi del D.Lgs 219/2006 e in considerazione dell’almeno parziale mantenimento di efficacia del medicinale nei confronti della variante omicron nonché della sua lunga durata di azione (almeno sei mesi) e della possibilità di utilizzarlo per la profilassi pre-esposizione, l’autorizzazione alla temporanea (dal 29 gennaio al 31 luglio 2022) distribuzione con Decreto del Ministero della Salute del 20 gennaio 2022 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 28 gennaio 2022.
AIFA istituisce un registro dedicato all’uso appropriato e al monitoraggio dell’impiego di tixagevimab/cilgavimab.
Indicazione profilattica di tixagevimab-cilgavimab (Evusheld)
AIFA informa gli utenti dei Registri Farmaci sottoposti a Monitoraggio che, a seguito della pubblicazione della determina AIFA n. DG/87/2022 (pubblicata sulla GU n. 42 del 19.02.2022), a partire dal 20.02.2022 è possibile utilizzare l’associazione di anticorpi monoclonali Evusheld (AZD7442; tixagevimab/cilgavimab), per la seguente indicazione terapeutica:
Profilassi pre-esposizione dell’infezione da SARS-CoV-2 in soggetti adulti ed adolescenti di età pari o superiore a 12 anni e con peso corporeo di almeno 40 kg, con un controllo sierologico completamente negativo (anticorpi IgG anti-Spike negativi) e che presentano almeno uno dei seguenti fattori di rischio:
- che abbiano assunto nell’ultimo anno terapie che comportano deplezione dei linfociti B (ad es. rituximab, ocrelizumab, ofatumumab, alemtuzumab)
- in trattamento con inibitori della tirosin-chinasi Bruton
- trattati con CarT
- trapiantati di cellule ematopoietiche che hanno una malattia di rigetto o che stanno assumendo farmaci immunosoppressori
- con malattia onco-ematologica in fase attiva
- trapiantati di polmone
- trapiantati di organo solido (diverso dal trapianto di polmone) entro 1 anno dal trapianto
- con immunodeficienze combinate gravi
- trapiantati di organi solidi con recente trattamento per rigetto acuto con agenti che riducono le cellule T o B
- con infezione da HIV non in trattamento e una conta dei linfociti T CD4 <50 cellule/mm3
- con altra compromissione del sistema immunitario che ha determinato mancata sieroconversione.
Le prescrizioni dovranno essere effettuate in accordo ai criteri di eleggibilità e appropriatezza prescrittiva riportati nella scheda clinica, scaricabile dalla lista dei “Registri e piani terapeutici attivi”.
Autorizzazione italiana di bamlanivimab/etesevimab
L’associazione di anticorpi monoclonali bamlanivimab/etesevimab (dell’azienda farmaceutica Eli Lilly) per il trattamento di COVID-19 non ha ricevuto l’approvazione della Commissione europea, ma in Italia è stata autorizzata in via temporanea con Decreto del Ministro della Salute del 6 febbraio 2021 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 32 dell’8 febbraio 2021, e con Decreto del Ministro della Salute del 12 luglio 2021 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 180 del 29 luglio 2021 (proroga del decreto del 6 febbraio 2021).
Il 2/11/2021, EMA ha interrotto la rolling review di bamlanivimab ed etesevimab, per la decisione di Eli Lilly Netherlands BV di ritirarsi dall’iter di approvazione.
L’autorizzazione all’uso in via temporanea dell’anticorpo monoclonale bamlanivimab in monoterapia è stata revocata. L’uso di bamlanivimab in associazione estemporanea con etesemivab è ammesso.
Indicazioni degli anticorpi monoclonali
L’efficacia degli anticorpi monoclonali potrebbe essere ridotta in soggetti che presentano anticorpi anti SARS-COV-2 o per alcune varianti virali; in sede di scelta terapeutica bisogna tenere conto di questo aspetto.
Regdanvimab è indicato per il trattamento di adulti con COVID-19 che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che sono a maggior rischio di progressione a COVID-19 severa.
Sono candidabili alla terapia con bamlanivimab/etesevimab, casirivimab/imdevimab e sotrovimab i soggetti con le seguenti caratteristiche:
- età pari o superiore a 12 anni e peso corporeo di almeno 40 kg,
- positivi al SARS-CoV-2,
- non ospedalizzati per COVID-19,
- non in ossigenoterapia per COVID-19,
- con sintomi di grado lieve-moderato,
- ad alto rischio di COVID-19 severa.
Possibili fattori di rischio di sviluppare COVID-19 grave
Tra i possibili fattori di rischio si includono i seguenti:
- età >65 anni;
- indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) ≥30, oppure >95% percentile per età e per genere;
- insufficienza renale cronica, incluse dialisi peritoneale o emodialisi;
- diabete mellito non controllato (HbA1c ≥9.0% o 75 mmol/mol) o con complicanze croniche;
- immunodeficienza primitiva o secondaria;
- malattia cardio-cerebrovascolare (inclusa ipertensione con concomitante danno d’organo);
- BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) e/o altra malattia respiratoria
cronica (asma, fibrosi polmonare o patologie che necessitano di ossigenoterapia per ragioni differenti da COVID-19); - Epatopatia cronica;
- Emoglobinopatie;
- Patologie del neurosviluppo e patologie neurodegenerative.
COVID-19 deve essere di recente insorgenza (comunque da non oltre 7 giorni).
Il trattamento è possibile oltre i 7 giorni dall’esordio soltanto in soggetti con immunodeficienza che presentino:
- sierologia per SARS-CoV-2 negativa e
- prolungata positività al tampone molecolare.
Casirivimab/imdevimab può essere utilizzata anche nei pazienti di età maggiore di 12 anni ospedalizzati per COVID-19, anche in ossigenoterapia convenzionale (non ad alti flussi e non in ventilazione meccanica), e con sierologia negativa per gli anticorpi IgG anti-Spike di SARS-CoV-2 (Determina n. DG 912/2021).
Dosaggio e via di somministrazione degli anticorpi monoclonali per COVID-19
- bamlanivimab 700 mg + etesevimab 1.400 mg per via endovenosa,
- casirivimab 600 mg + imdevimab 600 mg per il trattamento e la profilassi pre-esposizione di COVID-19 negli adulti e negli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni e con peso corporeo di almeno 40 kg, che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che sono a maggior rischio di progressione verso forme severe di COVID-19; per la profilassi pre-esposizione: prima somministrazione di casirivimab 600 mg + imdevimab 600 mg seguita da casirivimab 300 mg + imdevimab 300 ogni 4 settimane fino a quando la profilassi non risulterà più necessaria (da RCP AIFA del 27/11/2021); nelle linee guida “Trattamenti utilizzabili nei pazienti COVID-19 nel setting ospedaliero” versione del 04/10/2021, AIFA riporta di aver consentito nell’agosto 2021 l’uso della combinazione, al dosaggio di 4000/4000 mg, per il trattamento di pazienti di età superiore a 12 anni ospedalizzati per COVID-19, anche in ossigenoterapia convenzionale (non ad alti flussi e non in ventilazione meccanica), ma con sierologia negativa per gli anticorpi IgG anti-Spike di SARS-CoV-2. In tutti i casi, casirivimab/imdevimab si somministra un’unica infusione per via endovenosa o, se questo non è fattibile e comporta un ritardo nel trattamento, per iniezione sottocutanea;
- sotrovimab 500 mg per via endovenosa.
Distribuzione dei medicinali contenenti anticorpi monoclonali per COVID-19
La distribuzione degli anticorpi monoclonali è effettuata dal Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19 di cui all’art. 122 del D.L. 18/20.
Tali medicinali sono sottoposti a monitoraggio addizionale per permettere la rapida identificazione di ulteriori informazioni sulla sicurezza.
Storia delle autorizzazioni degli anticorpi monoclonali per COVID-19
Il Decreto del Ministero della Salute del 6 Febbraio 2021 aveva autorizzato in via temporanea, in attesa di finalizzare le procedure autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), la distribuzione dei medicinali a base di anticorpi monoclonali per il trattamento di COVID-19. Gli anticorpi monoclonali erano privi di AIC nel territorio europeo e nazionale.
Erano oggetto di tale autorizzazione temporanea:
Il D.M. faceva seguito al “Parere CTS AIFA su anticorpi monoclonali” della Commissione Tecnico Scientifica (CTS) di AIFA, pubblicato in data 4/02/2021, che, pur considerando l’immaturità dei dati e le incertezze sull’entità del beneficio, ha stabilito a maggioranza che questi farmaci possano rappresentare un’opzione terapeutica per pazienti positivi a SARS-CoV-2 di età superiore a 12 anni, non ospedalizzati con sintomi di entità lieve/moderata insorti da non prima di 10 giorni, ma ad alto rischio di sviluppare una forma grave con conseguente aumento delle probabilità di ospedalizzazione e/o morte.
La CTS, in considerazione della situazione di emergenza e di mancanza di trattamenti standard di provata efficacia disponibili in questa specifica popolazione, aveva ritenuto che questi anticorpi monoclonali potessero essere resi disponibili con procedura straordinaria e a fronte di rivalutazione continua sulla base di nuove evidenze, disponibilità di nuove opzioni e decisioni da parte di EMA.
Aggiornamento 6 agosto 2021
Sulla Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 2021, AIFA ha pubblicato due determinazioni:
Determina n. DG 911/2021 esprime parere positivo all’utilizzo dell’anticorpo sotrovimab che ha dimostrato un favorevole rapporto beneficio/rischio anche nei confronti delle principali varianti al momento circolanti di SARS-CoV-2. Anche per l’approvazione di questo nuovo anticorpo si è fatto ricorso alla procedura di autorizzazione alla temporanea distribuzione con Decreto del Ministro della Salute. Questo anticorpo si aggiunge quindi agli altri già disponibili (bamlanivamb/etesevimab e casirivimab/imdevimab).
Determina n. DG 912/2021 estende il possibile utilizzo della combinazione casirivimab/imdevimab nei pazienti adulti ospedalizzati per COVID-19, anche in ossigenoterapia convenzionale (non ad alti flussi e non in ventilazione meccanica), e con sierologia negativa per gli anticorpi IgG anti-Spike di SARS-CoV-2. I risultati dello studio clinico internazionale RECOVERY infatti mostrano un beneficio in termini di mortalità e di riduzione del rischio di progressione di malattia (ricorso alla ventilazione meccanica o evento morte) del trattamento con casirivimab e imdevimab in questa sottopopolazione.
Indicazioni terapeutiche delle associazioni di anticorpi monoclonali come farmaci per COVID-19
In base agli aggiornamenti di giugno 2021 delle informative per i pazienti e per gli operatori sanitari, si riportano le rispettive indicazioni.
Indicazioni terapeutiche di bamlanivimab ed etesevimab
Bamlanivimab ed etesevimab in associazione sono indicati per il trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) lieve o moderata, negli adulti e adolescenti di età pari o superiore a 12 anni che non necessitano di ossigenoterapia supplementare per COVID-19 e che sono ad alto rischio di progressione a COVID-19 severa.
Indicazioni terapeutiche di casirivimab e imdevimab
Casirivimab e imdevimab sono indicati per il trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) da lieve a moderata in pazienti adulti e pediatrici (di età pari e superiore a 12 anni) con infezione confermata in laboratorio da SARS-CoV-2 e che sono ad alto rischio di COVID-19 severa.
Indicazioni terapeutiche di sotrovimab
Sotrovimab è indicato per il trattamento della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) lieve o moderata, negli adulti e adolescenti (di età pari o superiore a 12 anni che abbiano un peso corporeo di almeno 40 kg) che non necessitano di ossigenoterapia supplementare per COVID-19 e che sono a rischio di progressione a COVID-19 severa.
Popolazioni ad alto rischio
Si definiscono ad alto rischio i pazienti che soddisfano almeno uno dei seguenti criteri:
- indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) ≥30, oppure >95° percentile per età e per genere
- insufficienza renale cronica, incluse dialisi peritoneale o emodialisi
- diabete mellito non controllato (HbA1c>9,0% 75 mmol/mol) o con complicanze croniche
- immunodeficienza primitiva o secondaria
- età >65 anni
- malattia cardio-cerebrovascolare (inclusa ipertensione con concomitante danno d’organo)
- broncopneumopatia cronica ostruttiva e/o altra malattia respiratoria cronica (ad es. soggetti affetti da asma, fibrosi polmonare o che necessitano di ossigenoterapia per ragioni differenti da SARS-CoV-2)
- epatopatia cronica [Con seguente box di warning: “gli anticorpi monoclonali non sono stati studiati in pazienti con compromissione epatica moderata o severa”.]
- emoglobinopatie
- patologie del neurosviluppo e patologie neurodegenerative.
COVID-19 deve essere di recente insorgenza (e comunque da non oltre 10 giorni) e confermata da positività di esame virologico diretto per SARS-CoV-2. Il trattamento è possibile oltre i 10 giorni dall’esordio solo in soggetti con immunodeficienza che presentino:
- sierologia per SARS-COV-2 negativa e
- prolungata positività al tampone molecolare.
Nessun beneficio clinico è stato osservato con l’associazione bamlanivimab ed etesevimab nei pazienti ospedalizzati per COVID-19. Pertanto, né bamlanivimab ed etesevimab in associazione né con casirivimab e imdevimab devono essere usati in pazienti che:
- sono ospedalizzati per COVID-19
- ricevono ossigenoterapia per COVID-19
- necessitano, a causa di COVID-19, di un aumento del flusso di ossigenoterapia cronica già in atto per comorbilità preesistente.
Suggerimenti di AIFA per l’uso degli anticorpi monoclonali nelle diverse aree geografiche in ragione delle varianti maggiormente circolanti
Nel comunicato stampa n. 658 del 5 agosto 2021, AIFA richiama l’attenzione sul fatto che gli anticorpi monoclonali anti-SARS-CoV-2 attualmente disponibili, pur presentando indicazioni sovrapponibili, si differenziano tra loro per capacità di neutralizzare le diverse varianti circolanti come evidenzia la letteratura più recente.
Gli anticorpi anti-SARS-CoV-2 disponibili in Italia mostrano attività antivirale nei confronti delle varianti come descritto di seguito:
- adeguata nei confronti della variante alfa (lignaggio B.1.1.7): tutti (bamlanivamb/etesevimab, casirivimab/imdevimab e sotrovimab),
- adeguata nei confronti della variante delta (lignaggio B.1.617.2): tutti (bamlanivamb/etesevimab, casirivimab/imdevimab e sotrovimab),
- fortemente inibita nei confronti della variante beta (B.1.351): bamlanivamb/etesevimab,
- adeguata nei confronti della variante beta (B.1.351): casirivimab/imdevimab e sotrovimab,
- fortemente inibita nei confronti della variante gamma (P.1): bamlanivamb/etesevimab,
- adeguata nei confronti della variante gamma (P.1): casirivimab/imdevimab e sotrovimab.
Pertanto, nelle aree geografiche in cui è presente una circolazione delle varianti beta e gamma, AIFA suggerisce di utilizzare gli anticorpi monoclonali (casirivimab/imdevimab e sotrovimab) efficaci contro tutte le varianti oppure di far precedere l’inizio della terapia dalla genotipizzazione/sequenziamento.
Registro di monitoraggio e d’uso appropriato degli anticorpi monoclonali
Il D.M. stabilisce l’istituzione di un registro di monitoraggio e d’uso appropriato degli anticorpi monoclonali a cura di AIFA. L’Agenzia comunicherà al Ministero l’eventuale sussistenza di condizioni per la sospensione o la revoca dell’autorizzazione sulla base dei dati di farmacovigilanza.
Tutte le informazioni aggiornate e dettagliate, compresi i report di monitoraggio, sono rese disponibili da AIFA nella pagina Uso degli anticorpi monoclonali per COVID-19.
Modalità di prescrizione
La CTS indica che la scelta in merito alle modalità di prescrizione e la definizione degli specifici aspetti organizzativi potranno essere lasciate alle Regioni.
Azitromicina
Azitromicina è un antibiotico della famiglia dei macrolidi, autorizzato per il trattamento di infezioni delle vie respiratorie, della cute e dei tessuti molli, infezioni odontostomatologiche, uretriti non gonococciche, ulcere molli.
Il dosaggio indicato è 500 mg al giorno per 3 giorni consecutivi.
La proprietà antibatterica dei macrolidi deriva dalla loro interazione con il ribosoma dei batteri e dalla conseguente inibizione della loro sintesi proteica e quindi della loro replicazione.
Esistono prove che i macrolidi esercitino inoltre effetti benefici nei pazienti con malattie polmonari infiammatorie. Studi in vitro e in vivo, infatti, hanno dimostrato che i macrolidi mitigano l’infiammazione e modulano il sistema immunitario; in particolare essi si sono mostrati in grado di:
- causare la downregulation delle molecole di adesione della superficie cellulare,
- ridurre la produzione di citochine proinfiammatorie,
- stimolare la fagocitosi da parte dei macrofagi alveolari,
- inibire l’attivazione e la mobilizzazione dei neutrofili.
I meccanismi attraverso i quali i macrolidi esercitano questi effetti antinfiammatori e immunomodulatori non sono ben noti.
Gli studi che hanno indagato questo aspetto sono tutti osservazionali retrospettivi e presentano quindi diversi limiti. Sono inoltre difficilmente confrontabili perché hanno caratteristiche diverse. Non consentono quindi di trarre conclusioni definitive e suggeriscono la necessità di studi randomizzati.
La mancanza di un solido razionale e l’assenza di prove di efficacia nel trattamento di pazienti COVID-19 non consente di raccomandare l’utilizzo di azitromicina, da sola o associata ad altri farmaci con particolare riferimento a idrossiclorochina, al di fuori di eventuali sovrapposizioni batteriche.
Modalità di prescrizione
L’uso di azitromicina per indicazioni diverse da quelle registrate può essere considerato soltanto nell’ambito di studi clinici randomizzati.
Gli usi non previsti dalle indicazioni autorizzate e non raccomandati restano una responsabilità del prescrittore e non sono a carico del SSN.
Lopinavir/ritonavir
È un inibitore delle proteasi potenziato con ritonavir. Questo ne migliora il profilo farmacocinetico e, attraverso l’inibizione del citocromo P450, isoenzima 3A4, rallenta il metabolismo di lopinavir e ne incrementa l’esposizione farmacologica. L’associazione lopinavir/ritonavir si è dimostrata efficace nell’ambito della ART per il trattamento
dell’infezione da HIV.
Gli inibitori delle proteasi lopinavir (LPV), darunavir (DRV) e atazanavir (ATV), utilizzati per la terapia dell’infezione da HIV, si legano alle proteasi 3CLpro e PL2pro e le inattivano, possono così inibire la replicazione virale.
La proteasi 3CLpro è un obiettivo molecolare essenziale anche per la replicazione dei coronavirus.
Studi su modelli animali suggeriscono che l’inibizione della proteasi 3CLpro in animali in condizioni critiche si associa a un miglioramento. Inoltre, precedenti esperienze con infezione da SARS-CoV-1 e MERS, suggeriscono che lopinavir può migliorare alcuni parametri clinici dei pazienti.
L’esperienza clinica con l’infezione da HIV ha dimostrato che nelle indicazioni autorizzate questi farmaci sono tendenzialmente sicuri, anche se variamente tollerati e con numerose interazioni farmacologiche.
Evidenze su lopinavir/ritonavir in pazienti COVID-19
Un primo studio su lopinavir/ritonavir in pazienti COVID-19 poneva dei dubbi rispetto all’utilizzo di questa associazione in soggetti con un quadro clinico grave e instabile. Poi, il 29 giugno 2020, la sospensione del braccio di trattamento con questo farmaco nello studio RECOVERY, come nel SOLIDARITY trial (DisCoVeRy), ha portato alla riconsiderazione generale del suo profilo beneficio/rischio in tutti i pazienti con COVID-19.
Attualmente, l’insieme delle prove di efficacia indica che la somministrazione di lopinavir/ritonavir non è associabile a un beneficio clinico rispetto alla terapia ordinaria.
Pur non escludendo la possibile esistenza di specifiche sottopopolazioni di pazienti che possano beneficiare di tale trattamento, l’attuale quadro di incertezza suggerisce di attendere ulteriori risultati prima di raccomandarne l’uso al di fuori di contesti sperimentali.
Modalità di prescrizione
Nelle indicazioni autorizzate lopinavir/ritonavir è soggetto a prescrizione limitativa da parte dello specialista infettivologo.
L’uso di lopinavir/ritonavir per l’infezione da SARS-CoV-2 va limitato agli studi clinici regolamentati.
Darunavir/cobicistat
È un inibitore delle proteasi potenziato con cobicistat. Questo ne migliora il profilo farmacocinetico e, poiché inibisce il citocromo P450 isoenzima 3A4, rallenta il metabolismo di darunavir e ne incrementa l’esposizione farmacologica. L’associazione ha dimostrato la propria efficacia nell’ambito della ART per il trattamento dell’infezione da HIV.
L’efficacia di darunavir/cobicistat nel trattamento di COVID-19 è soltanto aneddotica. Un piccolo studio su darunavir/cobicistat è in corso in Cina.
Il vantaggio clinico di darunavir/cobicistat rispetto a lopinavi/ritonavir attualmente individuato è la sua maggiore tollerabilità intestinale.
L’uso terapeutico di darunavir/cobicistat per COVID-19 può essere considerato, in alternativa a lopinavir/ritonavir nello stesso setting di pazienti, e cioè esclusivamente all’interno di studi clinici, quando quest’ultimo non è tollerato per diarrea.
Modalità di prescrizione
Nelle indicazioni autorizzate darunavir/cobicistat è normalmente soggetto a prescrizione limitativa da parte dello specialista infettivologo.
L’uso di darunavir/cobicistat per l’infezione da SARS-CoV-2 va ora limitato, in alternativa a lopinavir/ritonavir, agli studi clinici regolamentati.
Idrossiclorochina (HCQ)
AIFA non raccomanda l’uso di idrossiclorochina nei pazienti COVID-19 ricoverati.
Le evidenze accumulatesi progressivamente nell’uso terapeutico di HCQ in questa popolazione di pazienti ne dimostrano la completa mancanza di efficacia a fronte di un aumento di eventi avversi, seppur non gravi. AIFA quindi non ritiene utile né opportuno autorizzare nuovi studi clinici sull’utilizzo di idrossiclorochina nei pazienti COVID-19 ospedalizzati.
AIFA non raccomanda l’utilizzo di idrossiclorochina anche nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 gestiti a domicilio, di bassa gravità e nelle fasi iniziali della malattia.
In questa popolazione esistono però evidenze più limitate che dimostrano la mancanza di efficacia di HCQ a fronte dell’aumento degli eventi avversi, seppur non gravi. Per rendere conclusive le conoscenze disponibili, in tale setting può ancora essere consentita l’esecuzione di studi clinici randomizzati controllati.
Modalità di prescrizione
L’eventuale prescrizione di idrossiclorochina nei pazienti COVID-19 si configurerebbe come uso off label, quindi non rimborsato dal SSN e sottoposto a specifiche regole prescrittive.
La somministrazione di HCQ nei pazienti COVID-19 a domicilio, potrà quindi avvenire sotto la responsabilità del medico prescrittore e previo consenso informato del singolo paziente.
Informazioni aggiornate in tempo reale sui farmaci per COVID-19 e sulle relative sperimentazioni
La Commissione europea sostiene lo sviluppo e la disponibilità di medicinali per il trattamento del COVID-19 nonché della sindrome post-COVID. Ha inoltre adottato una propria strategia sugli strumenti terapeutici contro la COVID-19.
L’OMS fornisce informazioni aggiornate in tempo reale sui farmaci e sulle relative sperimentazioni attraverso COVID-NMA. Inoltre pubblica la Therapeutics and COVID-19: living guideline.
In particolare, COVID-NMA mette a disposizione una mappa degli studi registrati e una tabella con le caratteristiche generali di ciascuna sperimentazione, una revisione sistematica dei risultati degli studi (compresi confronti tra i trattamenti per i quali sono disponibili dati) e un monitoraggio della trasparenza degli studi.
Inoltre, il team di ricercatori di Cochrane e le altre istituzioni che partecipano a COVID-NMA aggiornano la sintesi degli studi ogni venerdì.
Altre informazioni sono reperibili dalla sezione del sito AIFA dedicata alle sperimentazioni cliniche su COVID-19.
SIMG (Società italiana di medicina generale e delle cure primarie) e SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) hanno messo a punto il manuale: Il percorso del paziente con Covid-19 dalle cure domiciliari tradizionali al linkage to care con i centri specialistici
SIMIT, inoltre, fornisce i protocolli dei trial sui farmaci per COVID-19.