MakingPharmacist ha già egregiamente presentato, con l’articolo di Monica Torriani, il decreto ministeriale di approvazione della classe di laurea riformata in Farmacia e Farmacia Industriale (LM-13, per gli addetti ai lavori).
Oltre alla presentazione tecnica, su cui nulla vi è da aggiungere, può esser interessante per tutti coloro che operano nel mondo della farmacia e della formazione dei farmacisti, riflettere sulla genesi e sulla strada che hanno portato alla riforma, e sulle opportunità, ma anche sulle sfide, che la compiuta implementazione comporterà, per il mondo universitario ma anche per il mondo della professione.
La percezione dei cittadini dopo Covid-19
Il biennio di pandemia Covid ha cristallizzato, anche (e finalmente, direi) nella percezione dell’opinione pubblica, una riforma “ante-legis” del ruolo del farmacista. Da dispensatore di prodotti medicinali dietro un bancone, il farmacista si è riappropriato del ruolo che gli si confà, per missione e per formazione. Il farmacista durante la pandemia è sempre stato presente, le farmacie sono sempre state aperte, sono stati dispensati medicinali, ma soprattutto servizi, secondi pareri, prestazioni di prima e di seconda istanza. Il cittadino ha trovato nelle farmacie di comunità professionisti che sovente hanno surrogato altre assenze, e ha compreso che la farmacia di comunità è il primo di livello di interfaccia tra il sistema sanitario e la cittadinanza.
Il fattore chiave della formazione
Occorre riflettere un secondo su questo. L’adeguamento e il potenziamento del ruolo del farmacista nel sistema sanitario nazionale e nel mondo della sanità in generale avrebbero potuto richiedere “semplici” interventi normativi nell’ambito delle prerogative professionali (per altro già presenti, basti pensare alla farmacia dei servizi) e dei rapporti con il SSN.
E, invece, l’intervento importante, di cui forse non tutti hanno ancora ben compreso la portata, è stato quello sulla formazione dei farmacisti. In un certo senso, queste nuove e ridisegnate prerogative professionali e culturali saranno patrimonio dei ‘farmacisti che verranno’, in quelli che si laureeranno a partire dal prossimo quinquennio.
E, quindi, è comprensibile tanta enfasi? Direi di sì. E per comprenderne bene la portata, occorre che il lettore interessato segua bene il percorso seguito per la riforma complessiva.
Non solo “Esame di Stato”
Sull’onda dell’emergenza epidemica e seguendo in un certo senso il decreto d’urgenza emanato, a fine 2020, per render abilitante alla professione del medico la laurea in Medicina e Chirurgia, il Parlamento ha approvato la legge 163/2021 sulle lauree abilitanti. Nel sentire comune, e chi scrive ne ha avuto ampio riscontro negli scambi con studenti e neolaureati, la legge è stata subito interpretata come “eliminazione dell’Esame di Stato“.
In realtà – ovviamente, mi sia consentito – non è così. La legge 163/2021 stabilisce che le Commissioni di Laurea dei Dipartimenti di Farmacia oltre a conferire il titolo di dottore in Farmacia e Farmacia Industriale abilitano alla professione del farmacista, surrogando quindi le funzioni della commissione giudicatrice dell’Esame di Stato (che continua a esser svolto, in modalità semplificata, per i prossimi cinque anni accademici).
L’università certificherà la qualifica professionale
La legge in sé appare aver un impatto importante ma tutto sommato modesto: non fa altro che far anticipare di qualche mese, in media, la possibilità di accedere alla professione. Eppure, l’impatto è ben maggiore: certifica che le università, attraverso i propri dipartimenti, determinano e accertano la qualificazione dei propri neolaureati a svolgere ruoli di responsabilità nel sistema sanitario. Il mondo della professione, e in particolare la Federazione degli Ordini dei Farmacisti, e il mondo accademico hanno ritenuto che questo richiedesse una contemporanea rivisitazione della struttura della Classe di Laurea, al fine di renderla ancora più adeguata alle necessità del mondo del lavoro.
Un tavolo interministeriale (Università/Salute, la FOFI, il CUN, la CRUI, la Conferenza delle Scienze del Farmaco) ha lavorato con grande collaborazione, e ha prodotto la bozza del riordino di Classe che poi, nei mesi scorsi, è stato approvato dal CUN e recepito finalmente nel DM 1147/22, ultimo atto del ministro Messa prima del cambio di governo.
Il ruolo dei farmacisti professionisti
Quali sono i punti che più meritano commento sul nuovo ordinamento? Il primo, forse il meno apprezzato, è che la riforma attribuisce una grande responsabilità ai farmacisti professionisti. Un semestre circa dei cinque anni di laurea dello studente sono trascorsi in farmacia (almeno tre mesi in farmacia di comunità) sotto la diretta responsabilità del farmacista professionale, che ne cura la formazione e ne valuta il risultato.
È in fase di completamento il documento che definirà analiticamente il ‘syllabus’ del tirocinio pratico formativo, cui farmacisti e tutor accademici dovranno attenersi. Non solo, la commissione di laurea, e in particolare nella fase della valutazione della prova pratico-formativa, sarà allargata da farmacisti indicati dall’Ordine provinciale di riferimento.
Anche questo è un punto che può apparire secondario ma che non mi stanco di segnalare. Il tirocinio pratico-formativo è momento professionalizzante ma al contempo contribuisce integralmente al curriculum universitario. Un dottore in Farmacia e Farmacia Industriale sarà tale anche in virtù dei 30 Crediti Formativi (equivalenti a circa tre esami caratterizzanti) del tirocinio. I farmacisti professionisti diventano “nostri colleghi”, con nostro grande piacere e con grande responsabilità reciproca.
Un percorso multidisciplinare
Il secondo commento riguarda l’allocazione dei crediti tra i vari ambiti disciplinari. Il tavolo ministeriale, unanime, e poi il CUN, hanno convenuto sul fatto che la traiettoria di innovazione che la professione del farmacista sta compiendo richiede un adeguamento della formazione universitaria.
Attenzione, però, il rischio era (e credo che con la sapiente collaborazione di tutti sia stato evitato) di cedere alla tentazione di voler considerare il nuovo farmacista un medico “junior”. Niente di più lontano.
Il farmacista “riformato” sarà ancora di più un professionista del farmaco e dell’impatto che il farmaco, il medicinale hanno sulla salute e il benessere dell’individuo, sulla gestione del benessere e dell’economia della società. Per questo motivo, la formazione curriculare deve prevedere un attento bilanciamento di discipline di base, sui cui si fonda da sempre l’arte del farmacista, e di discipline di ambito, medico, biologico, e anche socio-economico, che consentano al laureato di interfacciarci in modo attivo e proattivo alle richieste di servizio, consulenza, vigilanza sanitaria e contenimento della spesa pubblica.
La collaborazione tra mondo professionale e università
La Classe di Laurea riformata dal DM 1147/2022 pone i limiti e i range entro cui questo adeguamento dell’offerta formativa va fatta. Saranno i Dipartimenti, con il supporto delle Società Scientifiche a definire puntualmente i piani di studi, che dovranno differenziare l’ambito della Farmacia da quello della Farmacia Industriale e che dovranno naturalmente innestarsi sulle radici e sulle specificità scientifiche, culturali, storiche, di territorio che caratterizza ciascuno dei 34 Dipartimenti di Farmacia delle università italiane.
Senza dimenticare, naturalmente, che la ricchezza della Laurea Magistrale in Farmacia e Farmacia Industriale consente a chi lo desidera di proseguire con grande successo la formazione di terzo livello, in corsi di dottorato, master, scuole di specializzazioni.
Si è aperto in questi mesi un percorso di grande capacità di dialogo tra le università, gli organismi di controllo, e la professione. Questo percorso va alimentato con un continuo confronto tra mondo professionale e mondo universitario, nello spirito di contribuire sempre più alla formazione di professionisti il cui ruolo e il cui sapere è fondamentale per il sistema della salute in Italia.