HomeFARMACIL'alleanza fra ospedale e territorio per il paziente oncologico

L’alleanza fra ospedale e territorio per il paziente oncologico

La continuità assistenziale al paziente oncologico nel miglioramento dell'efficacia e della sicurezza delle cure: il parere di Vito Ladisa, Direttore della Struttura Complessa di Farmacia dell’IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Il paziente oncologico affronta nel suo percorso di assistenza difficoltà aggiuntive rispetto a quelle delle persone con altri tipi di patologia. Perché sia minimizzato il rischio di discontinuazione, è necessario mettere a disposizione risorse e competenze speciali.

Sul tema della continuità assistenziale del paziente oncologico abbiamo intervistato Vito Ladisa, direttore della Struttura Complessa di Farmacia dell’IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

Dottor Ladisa, dal punto della terapia farmacologica, quali sono le principali criticità che affronta il paziente oncologico una volta dimesso dall’ospedale?

Anzitutto dobbiamo sottolineare che quelle oncologiche sono terapie complesse, caratterizzate spesso da una scarsa tollerabilità. Dunque, richiedono prima di tutto un importante sforzo di educazione del paziente per quello che riguarda le modalità di assunzione, la tempistica. Al tempo stesso, richiedono una formazione del paziente finalizzata al riconoscimento di eventuali eventi correlati alla terapia. Dicendo che il paziente oncologico è un paziente complesso intendo evidenziare il fatto che egli deve essere accompagnato in una patologia che talvolta è a termine, che qualche volta non ha una lunga prospettiva di vita, specialmente se facciamo riferimento a patologie tumorali particolarmente aggressive. Una volta dimesso dall’ospedale, il paziente ha bisogno di essere accompagnato durante la terapia, di essere “coccolato” affinché un trattamento farmacologico duro, importante e talvolta pesante come quello ricevuto sia accettato. Dobbiamo fare in modo che non sia accompagnato dalla discontinuazione che spesso si osserva. In particolare quando si fa riferimento alle terapie orali, che, a differenza delle infusionali, non prevedono che il paziente torni ciclicamente in ospedale per effettuarle.

Quali sono gli strumenti attualmente predisposti per garantire la continuità dell’assistenza?

Dobbiamo considerare che la continuità dell’assistenza, che sia farmacologica o infermieristica, è assicurata anche dalla normativa. Per quanto riguarda l’assistenza farmacologica, attualmente abbiamo a disposizione farmaci innovativi, particolari, che richiedono attenzione nella loro modalità di assunzione. La distribuzione diretta che avviene attraverso le farmacie ospedaliere rappresenta un aspetto molto importante, che assicura ai pazienti che la continuità terapeutica sia garantita sempre. Aggiungo che non si tratta della mera consegna di una confezione di farmaci. Nell’intorno di questo atto dispensativo, vi è tutto un processo che dobbiamo leggere in termini di counseling che viene fatto al paziente nel momento in cui non è seguito direttamente in ospedale ma assume la terapia a casa. Un counseling che non si limita al giorno stesso della dispensazione, ma che è accompagnato da contatti telefonici, rapporti di telemedicina e telefarmacia (per i pazienti più tecnologici). Tutto questo viene fatto per assicurare la continuità terapeutica sia efficace, effettiva, sicura e limiti le discontinuazioni, la non aderenza al trattamento. Queste azioni, che possono sembrare ininfluenti, sono invece molto importanti, perché permettono di fidelizzare il paziente con il farmacista e allo stesso tempo favoriscono un miglioramento dell’efficacia e della sicurezza del trattamento.

In base alla sua esperienza, cosa si potrebbe fare per irrobustire il ponte fra l’ospedale e la casa del paziente?

In parte ho già risposto prima alla sua domanda. Sicuramente dobbiamo migliorare il rapporto di fidelizzazione e “amicizia” con il paziente. Una delle attività che svolgiamo quotidianamente nell’ambito della mia struttura è quella di creare un rapporto amichevole con il paziente, che continui anche quando è rientrato a casa. Facevo prima riferimento alla telefarmacia. Oggi abbiamo tanti strumenti a disposizione, abbiamo scoperto la videocomunicazione. Sfruttando canali semplici, come lo smartphone, uno strumento che tutti oggi sanno utilizzare, siamo in grado di arrivare anche a casa dei pazienti. Tuttavia, non esiste solo l’interazione digitale con il paziente: possiamo sfruttare anche la possibilità di raggiungere i pazienti a casa con il farmaco. L’home delivery è un altro aspetto che ritengo si debba utilizzare sempre di più per garantire la continuità dell’assistenza. Aggiungo che anche una sorta di interazione/collaborazione con le farmacie di comunità potrebbe essere utile a garantire al paziente l’assistenza e il supporto per la continuità del suo iter terapeutico.

Il trattamento palliativo viene gestito anche a domicilio?

Il trattamento palliativo viene gestito anche a domicilio. Ma questo dipende dalle organizzazioni e dalla disponibilità di risorse e gruppi di assistenza. Nel nostro Istituto abbiamo un buon gruppo di assistenza domiciliare, che permette di seguire anche la palliazione a casa del paziente. Non necessariamente la palliazione deve essere considerata una forma di assistenza medica. Riguarda anche la possibilità per il paziente di utilizzare a casa determinate terapie altrimenti esclusive dell’ambiente ospedaliero. Tendenzialmente, la palliazione si compone di farmaci ad uso esclusivo ospedaliero. La palliazione a domicilio è possibile, ma non è sempre presente, perché ciò dipende molto dalle organizzazioni sanitarie locali e ospedaliere.

Sul fronte della continuità delle cure, quali cambiamenti porteranno le iniziative previste in Missione 6 del PNRR?

Sicuramente tante innovazioni, tanti cambiamenti. Pensiamo soltanto alla implementazione prevista dalla Missione 6 delle case della salute, degli ospedali di comunità. Dobbiamo pensare che molte delle attività che oggi sono ospedalocentriche potranno invece essere trasferite sul territorio. Questo significa che la medicina raggiunge il paziente a casa o il più vicino possibile alla sua abitazione. Con questa modifica noi potremo assicurare a tutti i pazienti, specialmente a quelli più fragili, quelli che hanno maggiori difficoltà (anche motorie), il trattamento. Potremo assicurare loro di essere seguiti sia da un punto di vista di terapia farmacologica sia per quello che riguarda la visita specialistica all’interno di realtà come le case della salute e gli ospedali di comunità. In particolare, facendo riferimento al mondo dell’oncologia, io ritengo che gli ospedali di comunità potranno diventare dei centri dove i trattamenti infusionali potrebbero essere somministrati evitando che i pazienti debbano continuare a riferirsi all’ospedale. Inoltre, è fondamentale ricordare che tutto ciò che è riferito alla telemedicina rientra nella Mission 6 del PNRR: la telemedicina e la telefarmacia saranno dei pilastri fondamentali della nuova medicina territoriale. Già nella nostra Regione Lombardia con la Legge n. 23 del 2015, riformata di recente dalla Legge n. 22 del 2021, emergeva la chiara necessità di implementare il percorso del paziente che, dimesso dall’ospedale, dovrebbe andare sul territorio e lì, in maniera orizzontale, trovare tutto ciò che è necessario al suo percorso di cura.

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