Si dice che ciò che non uccide fortifica. Non è sempre così. Lo è, però, nel caso di Elisabetta Iannelli, 52 anni, avvocato di Roma, dal 2001 vicepresidente dell’Associazione italiana malati di cancro (Aimac), dal 2004 segretario generale della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo) e dal 2009 componente del comitato scientifico dell’Osservatorio permanente sulla condizione assistenziale dei malati oncologici. Per l’impegno e la dedizione a queste attività, ha di recente ricevuto l’onorificenza di commendatore al merito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un riconoscimento giunto dopo un lungo percorso, iniziato molti anni prima, in cui si sono mischiati nodi alla gola e speranze, cadute e sospiri di sollievo.
Una storia di paura, lotta e speranza
Partiamo dal principio. Nel marzo del 1993 lei era una studentessa universitaria… Cosa è accaduto?
Un giorno ho avvertito per caso un nodulo sul seno. Gli esami, le visite mediche, infine la diagnosi, giunta come un fulmine a ciel sereno: cancro alla mammella metastatico. Nel giro di un paio di settimane mi sono ritrovata in sala operatoria per una quadrantectomia. Poi la chemioterapia, che ha portato con sé perdita dei capelli, nausea, stanchezza. E ancora, la radioterapia. Tutto per sconfiggere il “nemico”, anche se, a dire il vero, la prognosi iniziale lasciava poche speranze. Temevo, infatti, che la malattia avrebbe annullato i miei sogni e spazzato via le mie speranze.
Per fortuna così non è stato…
No, mi sono sposata, mi sono laureata e sono diventata avvocato, ho avuto una figlia. Certo, il cancro ha condizionato il mio percorso, imponendo talvolta deviazioni e bruschi arresti, ma io non mi sono mai arresa.
Ciò non significa che la sua lotta sia finita…
Da allora sono in trattamento con un anticorpo monoclonale, una flebo al mese. Il tumore al seno con metastasi è curabile, ma a oggi non è guaribile. Ciò significa che la patologia diventa cronica e nel frattempo la vita scorre, anche se talvolta si riaffaccia la paura che la malattia possa sferrare un nuovo attacco: l’atto finale di una guerra che può essere persa, nonostante le tante battaglie vinte negli anni. Rimane, in fondo, un senso di inquietudine, quel sentirsi un po’ “precari della vita”.
La tossicità finanziaria del cancro
Nel suo percorso, fin da subito ha scelto di mettere a disposizione le sue risorse per aiutare altre donne malate e, più in generale, altri pazienti. Uno dei principali temi a cui si è dedicata è stato quello del lavoro.
Ho innanzitutto provato sulla mia pelle la cosiddetta tossicità finanziaria del cancro, che colpisce maggiormente le donne giovani che sono libere professioniste. E poi ho dato uno sguardo ai dati: ogni anno in Italia si ammalano di tumore circa 70mila donne lavoratrici. Era necessario fare qualcosa. Per questo mi sono prodigata con l’obiettivo di eliminare le discriminazioni e favorire la riabilitazione professionale delle donne malate e, più in generale, di tutti i pazienti oncologici.
Un importante traguardo è arrivato nel 2003, con l’approvazione, all’interno della cosiddetta legge Biagi, di una norma che consente ai pazienti, impiegati nei settori sia privato che pubblico, di richiedere la conversione, reversibile, del tempo pieno in tempo parziale. Nel 2006 un’altra norma, inserita in seno alla legge 80 del 9 marzo, ha sancito la riduzione dei tempi di accertamento dell’invalidità causata da patologie oncologiche da un anno a 15 giorni, consentendo così ai pazienti di accedere in tempi rapidi ai benefici previsti. In seguito, sono state introdotte altre norme mirate ad agevolare i dipendenti con patologia oncologica per quanto riguarda la reperibilità, le modalità flessibili di impiego, il diritto di assentarsi dall’ufficio senza perdere la retribuzione. Del resto, il lavoro stesso è terapia, vita, dignità della persona.
Conservare la fertilità delle giovani donne
Un altro tema su cui ha lavorato è legato alla preservazione della fertilità nelle giovani donne malate…
Sì, abbiamo accolto con grande soddisfazione la determinazione di Aifa numero 1073 del 2016, che ha modificato la nota 74, autorizzando l’impiego di alcuni farmaci anche per preservare la capacità riproduttiva delle donne sottoposte a trattamenti antitumorali.
Progetti a misura di donna
A proposito di donne, all’interno di Favo è stato costituito uno specifico gruppo di lavoro, Favo Donna. Perché è nata questa esigenza?
Nel nostro Paese ogni anno oltre 170mila donne ricevono una diagnosi di tumore, mentre un milione e 700mila vivono con una pregressa diagnosi di malattia. A queste si aggiungono le centinaia di migliaia di donne che svolgono il prezioso compito di assistenza a un familiare malato. Tutte loro necessitano di informazione, vicinanza, sostegno. E il gruppo, che organizza convegni, progetti, laboratori, pubblicazioni, serve proprio a questo.
Parlando di progetti: qualche anno fa con Aimac ne avevate avviato uno a favore delle donne straniere. In cosa consisteva?
Si trattava di Foreign Women Cancer Care, un’iniziativa pilota coordinata dagli Istituti fisioterapici ospitalieri (Ifo) – Istituto tumori regina Elena e Istituto dermatologico San Gallicano di Roma e avviata con l’obiettivo di migliorare la salute delle donne straniere, facilitando il loro ingresso nei programmi di prevenzione e cura dei tumori femminili, come quello del collo dell’utero e della mammella. Sarebbe bello che questo modello venisse perfezionato ed esteso anche a livello nazionale.