L’idea di utilizzare l’anfetamina sostituita 3,4-metilenediossimetanfetamina (MDMA) in psichiatria non è certo una novità, ma finora non si è mai arrivati allo sviluppo di una vera e propria terapia autorizzata. Questa volta però si è vicini alla svolta. Dopo l’esito positivo degli studi di fase I e II, lo studio di fase III ha iniziato a dare i primi risultati. Sponsor del progetto è il MAPS (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies). Questa associazione statunitense si occupa infatti degli sviluppi in campo medico, legale e sociale necessari a favorire l’impiego terapeutico attento e controllato di sostanze psichedeliche e marijuana. Attualmente il suo progetto principale è proprio lo studio clinico necessario a FDA per autorizzare la prescrizione di MDMA nel trattamento del PTSD.
PTSD: il disturbo da stress post traumatico
Il disturbo da stress post traumatico influisce sulla vita di centinaia di milioni di persone ogni anno. A essere colpiti dalle conseguenze di questa condizione non sono solo i diretti interessati, ma anche le persone che si relazionano con loro, famigliari in primis. Inoltre il PTSD è causa di disabilità, poiché può compromettere la capacità di lavorare, studiare e condurre una vita attiva e soddisfacente. Rilevanti sono quindi i costi economici e sociali di questo disturbo tanto diffuso.
Attualmente i farmaci più efficaci approvati da FDA per il trattamento di questa condizione sono due inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRIs) chiamati sertralina e paroxetina. Il 40-60% dei pazienti, tuttavia, non trae beneficio dalle terapie basate su questi farmaci.
Il trattamento del disturbo da stress post traumatico è infatti particolarmente complesso, anche a causa di una serie di problemi che possono essere sviluppati in concomitanza a questa condizione, come abuso di alcol e sostanze stupefacenti, depressione, istinti suicidi. La necessità di trovare trattamenti per gestire in modo efficace il PTSD è quindi evidente e particolarmente sentita.
MDMA per il trattamento del PTSD
Il meccanismo di azione dell’MDMA si basa sul massiccio rilascio di serotonina ottenuto tramite il legame ai trasportatori presinaptici di questo neurotrasmettitore. Proprio la serotonina è nota per avere un ruolo centrale nella gestione della memoria della paura. La parte del cervello maggiormente responsabile del mantenimento del PTSD e dei comportamenti guidati dalla paura è infatti l’amigdala, che ha una forte innervazione serotoninergica. L’azione terapeutica dell’MDMA sembra quindi basarsi proprio sull’azione esercitata a livello dell’amigdala, che potrebbe facilitare il processamento della memoria della paura.
L’utilizzo di un’anfetamina come farmaco è certamente un argomento controverso. Tuttavia nei modelli animali l’MDMA ha dimostrato una sicurezza ed un’efficacia tali da spingere le autorità a passare allo step successivo.
Il primo studio clinico di fase III, controllato con placebo, randomizzato e in doppio cieco, è stato condotto tra il 2018 e il 2020. Il suo protocollo è stato sviluppato da MAPS insieme a FDA. La Food and Drug Administration nel 2017 ha infatti designato la terapia incentrata sull’impiego di MDMA per il trattamento del PTSD come Breakthrough Therapy, titolo assegnato quando il superamento della sperimentazione rappresenterebbe un significativo progresso in campo medico.
Lo studio è stato condotto in Stati Uniti, Canada e Israele ed il protocollo ha previsto la somministrazione di 3 dosi di MDMA o di placebo nell’arco di 18 settimane. Naturalmente i pazienti dovevano partecipare anche a delle sedute di psicoterapia, da considerarsi parte integrante del trattamento. I promettenti risultati sono stati pubblicati su Nature: Medicine MDMA-assisted therapy for severe PTSD: a randomized, double-blind, placebo-controlled phase 3 study
Risultati incoraggianti
La terapia ha portato a una significativa riduzione dei sintomi di PTSD e dei disturbi funzionali correlati. Inoltre la differenza tra l’effetto della terapia con MDMA rispetto a quella con placebo è risultata maggiore rispetto a quanto osservato con i farmaci attualmente autorizzati. Dal punto di vista della sicurezza, invece, non ci sono state differenze sostanziali tra la terapia oggetto di studio e quelle in uso.
Nello specifico, sembra che l’impiego di MDMA associato al lavoro dello psicoterapeuta possa produrre una sorta di “finestra di tolleranza”, che permette al paziente di elaborare il proprio trauma senza sentirsi sopraffatto. Inoltre l’effetto farmacologico di aumentata empatia migliora l’aderenza alla terapia, aiutando il paziente a rimanere emotivamente vicino al terapista pur ripercorrendo ricordi dolorosi.
Risultato particolarmente interessante è poi l’efficacia del trattamento anche in chi è colpito da PTSD cronico o severo, oppure nei casi di presenza di disturbi concomitanti. Questi pazienti infatti costituiscono fino all’80% del totale, ma per il loro trattamento le terapie attualmente autorizzate sono spesso inefficaci.
Questo studio clinico deve certamente essere approfondito. Mancano infatti dati sull’efficacia a lungo termine e su una popolazione con maggiori differenze etniche. I risultati finora ottenuti sono però un passo importante nella direzione dell’autorizzazione dell’impiego di MDMA per il trattamento del PTSD. E nel frattempo il MAPS si sta organizzando per far partire lo studio di fase II anche in Europa.