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Vaiolo delle scimmie: prevenire lo stigma

Mentre l'epidemia di vaiolo delle scimmie prosegue, la comunità scientifica invita tutti gli operatori sanitari a diffondere informazione verificata sulla malattia, per prevenire lo stigma sociale e massimizzare l'accesso alla diagnosi e alla cura.

Il vaiolo delle scimmie è un’infezione virale causata dal monkeypox virus, un agente che appartiene, come il virus del vaiolo umano, alla famiglia delle Poxviridae.

È un’infezione nota dagli anni ’70 e diffusa in alcune zone dell’Africa centrale e occidentale, dove ha dato luogo, nel tempo, a sporadiche epidemie.

Il 23 luglio scorso la WHO lo ha dichiarato emergenza sanitaria globale (PHEIC – Public Emergency of International Concern).

Un commento apparso su The Lancet qualche giorno fa invita gli operatori sanitari e le istituzioni a collaborare per prevenire lo stigma e consentire così la diagnosi e la cura dei pazienti. Come da più parti chiesto nell’ambito della comunità dei ricercatori, gli autori del pezzo invitano ad evitare atteggiamenti che possono favorire la discriminazione e, di conseguenza, la diffusione del contagio.

Le principali problematiche riguardanti la diffusione del vaiolo delle scimmie riguardano le mutazioni cui il virus mostra di essere andato incontro rispetto alla sequenza originaria. Gli studi mostrano che anche una modifica dei comportamenti umani potrebbe avere influito sull’epidemia attualmente in corso.

La situazione attuale

Quasi tutti i casi finora registrati sono stati osservati in Europa e nel continente americano. Le persone che risultano colpite in maniera più significativa sono i maschi che hanno contatti sessuali con altri maschi.

Il contagio sembra essere correlato nella quasi totalità dei casi ad un contatto sessuale ravvicinato. La trasmissione sessuale è supportata dalla rilevazione del virus nelle lesioni mucosali che compaiono a livello genitale nei pazienti e che potrebbero rappresentare il punto di inoculo dell’infezione.

Il primo caso in Italia è stato confermato il 20 maggio 2022. Alla data in cui questo articolo viene scritto nel nostro Paese sono stati confermati 760 casi (749 in soggetti maschi e 11 in femmine), di cui 205 correlati a viaggi all’estero.

Al momento la situazione non desta preoccupazione, ma il monitoraggio da parte delle istituzioni prosegue.

Mettere a punto iniziative mirate

L’identificazione della comunità a rischio permette la progettazione di campagne di informazione dirette e specifiche. Ma la correlazione con i comportamenti sessuali e con eventuali promiscuità nella scelta dei partner pone il rischio di stigma.

Una comunicazione inclusiva e non giudicante da parte di tutti gli operatori sanitari che vengono a contatto con possibili pazienti, farmacisti inclusi, permetterebbe di diagnosticare più efficacemente la malattia e di estendere l’accesso alle cure.

Il controllo dell’epidemia può essere realizzato solo grazie all’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione della salute pubblica. Oltre alla comunicazione, la sorveglianza del contagio, il tracciamento dei contatti, il coinvolgimento della popolazione e l’adozione di misure per il contenimento del rischio.

I vaccini sono un ulteriore, prezioso strumento per controllare l’epidemia, ma la loro disponibilità non è ancora in grado di coprire la domanda, soprattutto se la diffusione dovesse accelerare.

Altra zoonosi, altra emergenza

Il monkeypox virus è un virus zoonotico a DNA che è stato identificato nell’uomo per la prima volta negli anni ’70 nella Repubblica Democratica del Congo. Da allora sono state registrate sporadiche epidemie in Africa.

La trasmissione ad oggi accertata si verifica attraverso saliva e droplets, contatto vicino o diretto con le lesioni cutanee e, occasionalmente, con oggetti contaminati. La trasmissione può avvenire tramite contatto con le lesioni durante rapporti sessuali.

La malattia è generalmente autolimitante (i sintomi scompaiono senza interventi in 2-4 settimane) e ha mortalità relativamente bassa (1-10%).

I sintomi comprendono:

  • Febbre.
  • Sonnolenza.
  • Cefalea.
  • Linfoadenopatia.
  • Eruzione composta da papule, vesciche e croste che interessa sia il viso che il corpo e si concentrano in particolare nell’area ano-genitale.
  • Le lesioni cutanee possono seccarsi, dare luogo a croste e cadere oppure evolvere verso la formazione di ulcere.

Possono verificarsi complicanze quali la polmonite, l’encefalite, la cheratite e infezioni batteriche secondarie. Le persone più a rischio per questi eventi sono i bambini piccoli e i soggetti immunocompromessi.

Una piccola percentuale di persone colpite viene trattata con antivirali, ma nella maggior parte dei casi la malattia si risolve spontaneamente.

Non è ancora nota la durata del periodo di contagiosità. Le linee guida pubblicate dal servizio sanitario britannico raccomandano l’uso del profilattico per almeno 12 settimane dal momento della guarigione. Ma non è noto se al termine di questo periodo il virus sia ancora presente nel liquido seminale.

Gli operatori sanitari diffondano informazioni verificate

La comunità scientifica chiede che gli operatori sanitari e tutti i professionisti che lavorano nell’ambito della Sanità e, in particolare, della salute pubblica siano adeguatamente formati per riconoscere e gestire i casi di vaiolo delle scimmie.

Allo stesso modo, è necessario che anche la popolazione sia educata, coinvolta affinché non cada nella trappola dello stigma, che ridurrebbe la capacità diagnostica dei casi di positività, favorendo la diffusione dell’epidemia.

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