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Forme gravi di COVID-19 ridotte drasticamente con la combinazione di anticorpi di Regeneron e Roche

Un recente studio di fase avanzata su due anticorpi monoclonali, casirivimab e imdevimab, ha dimostrato una riduzione del 70%, rispetto al placebo, del rischio di ospedalizzazione e di morte nei malati di Covid-19 ad alto rischio per le forme severe

I vaccini per combattere il Covid-19 si stanno diffondendo in tutto il mondo aprendo la strada all’immunità di gregge. Nonostante questo, però, i dirigenti di Regeneron ritengono che sia importante poter disporre di una potente alternativa farmacologica, costituita da un cocktail di anticorpi monoclonali, per curare i malati e prevenire il contagio di coloro che non sono vaccinati. A dimostrazione della validità di quanto afferma la società statunitense, un recente studio di fase avanzata su due anticorpi monoclonali, casirivimab e imdevimab, ha dimostrato una riduzione del 70%, rispetto al placebo, del rischio di ospedalizzazione e di morte nei malati di Covid-19 che presentano un alto rischio di sviluppare forme severe dell’infezione sostenuta da SarS-CoV-2. Secondo gli analisti del settore, qualora il farmaco venisse approvato, Regeneron e Roche potrebbero aggiungere al loro portafoglio un prodotto di grande successo commerciale.

I due anticorpi, inoltre, sono risultati efficaci anche contro cinque varianti virali tra le quali la sudafricana, la britannica e quella evidenziata per la prima volta nella città di New York.

REGEN-COV

Questa combinazione farmacologica, chiamata REGEN-COV™, ha già ottenuto l’approvazione per l’uso di emergenza dalla Food and Drug Administration (FDA) nel mese di novembre del 2020. L’Ente regolatorio statunitense ha anche dichiarato che si tratta dell’unica cura basata su anticorpi ad avere efficacia contro i nuovi ceppi virali comparsi recentemente e molto diffusi a livello mondiale. Sulla base dei nuovi dati emersi dal trial di fase 3, Regeneron vuole ora chiedere alla FDA di aggiornare l’autorizzazione all’impiego di REGEN-COV includendo anche il dosaggio più basso sperimentato nello studio, ovvero 1.200 mg, che si aggiungerebbe così agli altri due già utilizzati con successo (8.000 mg e 2.400 mg).

Tutti i pazienti arruolati nello studio di fase avanzata presentavano almeno un fattore di rischio per lo sviluppo di complicanze gravi di COVID-19: quasi il 60% dei malati era obeso, oltre la metà aveva più di 50 anni e il 36% soffriva di malattie cardiovascolari.

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